Visualizzazione post con etichetta eni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta eni. Mostra tutti i post

giovedì 11 dicembre 2014

Continuano a pervenire moltissime richieste di chiarimenti relativi agli "Stream Gas" di cui questo blog si è occupato in data 7 dicembre 2014

(http://littleswissnews.blogspot.it/2014/12/ho-visto-un-re-che-aveva-tanto-gas.html).


In Basilicata, è una storia già vista, fornire notizie delicatissime che riguardano da vicino la salute dei cittadini è attività disdicevole che viene considerata prodroma del reato previsto e punito dalla Legge di "procurato allarme sociale".

Per questo motivo, si preferisce riportare il racconto già pubblicato su questo blog in cui si parla della Nigeria.
Così che, essendo i Nigeriani impegnati in altre e più urgenti attività rispetto alla lettura di queste informazioni allarmanti, nessun allarme sociale verrà arrecato ai pacifici Lucani.
Buona lettura
Filippo de Lubac

(inizio del post pubblicato a novembre 2013)

Gli "stream gas": in Nigeria ne parlano (e ne muoiono), in Basilicata fanno finta che non esista!

Nigeria: il micidiale gas flaring delle multinazionali del greggio

Luca Manes/ CRBM


Insieme alla Shell e alla Chevron, l’Eni è una delle oil corporation più attive in Nigeria, primo Paese esportatore di greggio dell’Africa sub-sahariana con una produzione di 2,2 milioni di barili al giorno. A dispetto della ricchezza del loro sottosuolo, le popolazioni dell’area del Delta del Niger vivono in condizioni di estrema povertà, alle prese con un crescente degrado ambientale e una costante militarizzazione del territorio. In Nigeria ogni giorno si registrano perdite di petrolio dagli oleodotti, mentre, nonostante una legge del 1979 e diversi pronunciamenti delle corti locali, la pratica del gas flaring (il bruciare in torcia il gas connesso al processo d’estrazione del greggio) continua a essere adottata senza nessuno scrupolo. Sull’intero territorio nazionale sono oltre 100 le torri che sprigionano in maniera perenne lingue di fuoco che sputano diossina, benzene, solfuri e particolati vari...

lunedì 27 maggio 2013

Ci pisciano in testa e ci dicono che piove: Milioni di tonnellate di “Gas–stream” che l’ENI brucia in torcia a Viggiano

Milioni di tonnellate di “Gas–stream” che l’ENI brucia in torcia a Viggiano?
La Basilicata è il crocevia di ingentissime operazioni finanziarie e di politica internazionale. Non lo diciamo di nostro ma lo deduciamo da alcuni fatti noti o resi tali ma, stranamente, snobbati o affrontati solo in superficie dai media più qualificati.
Quali sono i giri finanziari innescati dal giacimento petrolifero più grande dell’Europa continentale?


Nessuno si è mai preso la briga di rispondere ad alcune semplici domande. Sul sito internet della Regione Basilicata, alla pagina sulle estrazioni petrolifere di Monte Alpi (Viggiano), compare il dato dei barili di petrolio che verranno estratti in giornata (con precisione svizzera) e quello dei barili estratti dall’inizio del 2008. Ci interessava, ad esempio, quai fossero le estrazioni nel 2003, ma non siamo riusciti a trovare alcun dato. Certamente per nostra inesperienza. Siamo andati a curiosare sul sito della Regione Basilicata (www.basilicatanet.it – che in realtà è un portale che costava alcuni miliardi di lire all’anno affidato un tempo a società del gruppo “Espresso – Repubblica”) e alla voce petrolio/documenti c’è tanto. Ma niente che dica delle quantità estratte in questi anni, un minimo di dettaglio per pozzo o per zona. Alla pagina “dati estrazione Viggiano”.
Nei primi otto anni di estrazioni, sino a tutto il 31.12.2006, riporta il sito internet regionale, le royalties maturate per il petrolio estratto a Viggiano ammontano a 345 milioni di euro. Nel solo 2008, secondo una dichiarazione fatta alla trasmissione “Anno Zero” dal Presidente della Giunta regionale (Prof. De Filippo) che parlava di royalties fissate al 7% del prezzo del “barile”, dovrebbero essere maturate provvigioni per oltre 140 milioni di euro.
Intanto, ci lasciamo tranquillizzare dalla qualità dell’aria e dell’acqua attentamente misurate dagli indicatori riportati nella fatidica pagina internet relativa a Viggiano.

Per l’aria abbiamo:
1) SO2 = 0 (zero) microgrammi per metro cubo – soglia ammessa 125;
2) NO2 = 2 microgrammi per metro cubo – soglia ammessa 220;
3) CO = 40 microgrammi per metro cubo – soglia ammessa 10.000. 

Per l’acqua i dati sono meno comprensibili:
1) BOD = 1,01 microgrammi per metro cubo;
2) COD = 3,53 microgrammi per metro cubo;
3) FENOLI = non disponibili;
4) GRASSI ed oli minerali e vegetali = non disponibili.

Per l’Acqua non vengono indicati i valori di soglia, ma dobbiamo confidare che siano di gran lunga superiori a quelli rilevati.

Nulla, invece, spiega la pagina internet, circa il numero e la distribuzione dei campioni esaminati, la frequenza dell’esame e la certificazione dello stesso.
Tuttavia sull'acqua arrivano le rassicuranti parole del signor Ruggero Gheller (ENI) e tutto va per il meglio.
Ma c’è un dato che più di tutti andrebbe compreso e, forse, spiegato. Da un rilievo dell’anno 2003, risulta che da Monte Alpi venivano estratti oltre novemila chilogrammi di gas all’ora che fanno 216mila kg al giorno per un totale di 78.840 tonnellate/anno. 
C’è da considerare che questi “stream-gas” contenuti nel petrolio estratto, saranno certamente aumentati con il crescere delle quote di “produzione” giornaliera. Poiché non abbiamo alcuna evidenza di dove siano finite queste centinaia di migliaia di tonnellate di gas vari (metano, etano, propano, butano ecc...) e rilevando a lume di naso (è proprio il caso di dirlo, basta sostare qualche minuto nei pressi del centro oli di Viggiano) che l’inquinamento percepito sembra maggiore di quello “misurato”, saremmo portati a pensare che questi gas siano stati bruciati in torcia. Se qualcuno è in grado di smentire queste deduzioni da incompetenti, si affretti a farlo. Perché l’alternativa è che qualche milione di tonnellate di gas altamente inquinanti, contenenti sostanze tossico-nocive, siano stati bruciati senza nessuna precauzione; anzi, vengono bruciate ogni giorno, ora, minuto e secondo. In questi giorni la fiamma della “torcia” di Viggiano è particolarmente alta, aumento di estrazioni? Poi, magari, sarebbe anche utile sapere perché l’ENI si sia affidata ad una società estera (Hyprotech Ltd) per analizzare il “gas-stream”, quando abbiamo in regione una università con tanto di dipartimento chimico; ma prima della curiosità viene la salute di un’intera regione. Le autorità sanitarie e giudiziarie ne sono certamente consapevoli ed il loquace signor Ruggero Gheller pure!
di Filippo de Lubac

domenica 17 febbraio 2013

Breve storia del più ricco giacimento petrolifero d'Europa (3a puntata): Quegli enormi interessi che ipotecano il futuro ed anche il presente


(A.D. 2008) C’era una volta l’Italia del dopoguerra, dai sentimenti puliti. Povera ma bella: di De Gasperi e di Mattei, di Peppone e di Don Camillo. Quell’Italia, si mise in testa, sognava, di poter fare cose impensabili in campo imprenditoriale ed industriale; due su tutte: la creazione di un polo siderurgico a Taranto e la concorrenza, nel settore dell’industria degli idrocarburi, ad americani, inglesi e francesi. È accertato, ormai, che Mattei, in particolare per le sue note e strane idee sulle royalties e per la sua idea di strizzare l’occhio al movimento indipendentista algerino, per quel sogno ci rimise l’osso del collo. Ad ogni modo, per quell’Italia dalla voglia di fare e di crescere, le “quote di prodotto” ovvero le royalties valevano, sul territorio nazionale, dal 2,5% fino al 22%, in rapporto alle quantità giornaliere estratte, in virtù suppongo di due obiettivi: incentivare la ricerca nel territorio italiano, ritenuto carente di grossi giacimenti, e rispettare il criterio della progressività sancito dalla Costituzione. Ad un certo punto, si trovò un sacco di metano in valbasento, in Basilicata, ma anche, se non ricordo male, dalle parti di Gela in Sicilia, ed alla fine, passò l’idea di utilizzare quelle risorse per far decollare dei poli industriali in loco. Idea, questa, contrapposta, per quanto riguarda la Basilicata, a quella di convogliare il metano “in Puglia”, a “Taranto”, città per la quale si prospettava uno sviluppo industriale grandioso, a scapito della sua valorizzazione quale polo turistico quasi senza eguali nel Mediterraneo. Trovato il metano e compiuta la scelta “localistica” del suo impiego, probabilmente si pose il problema del finanziamento e degli investimenti industriali; forse fu per questo che si stimò di fare un grosso regalo, con l’unificazione, al ribasso, delle tariffe, all’E.N.I. di Mattei, peraltro, come si sa, assai attento alle necessità della politica e dei partiti: nel 1967, il Parlamento italiano sancì che il valore delle royalties dovesse essere del 9% per gli idrocarburi estratti in terraferma e, per quelli estratti in mare, dell’8% e del 4% (rispettivamente, per gli idrocarburi liquidi e per quelli gassosi). Il peccatuccio, in verità, non appare assai grave: in fondo, il percettore unico delle quote di prodotto, all’epoca, era lo Stato, mentre l’E.N.I. non era altro che un suo attivo braccio operativo, assai rappresentativo anche in politica estera. Poi, i pozzi di valbasento si esaurirono e, con essi, si esaurì anche, in gran parte, il sogno industriale lucano, incentrato com’era sulla “chimica”. Nel frattempo, negli anni ’70 (1972 e 1977), si ebbe in Italia un grande cambiamento nell’organizzazione istituzionale: nacquero le Regioni, a cui si pensò anche di assegnare potestà legislativa in talune materie; si moltiplicarono a dismisura i centri di potere politico-amministrativo, la relativa classe politico-amministrativa (i cui meccanismi di selezione, per ovvietà di cose, risultarono molto affievoliti) e, con essi, le centrali di spesa pubblica ed i corrispondenti apparati (fattori questi di gran peso, ancorché taciuti, della successiva decuplicazione del debito pubblico italiano nel corso degli anni ’80). Nel tempo, altresì, si è andata sempre più accentuando un’idea federalista dell’organizzazione istituzionale italiana, a scapito di quell’idea virtuosa di decentramento dei poteri che fu già cara, nel ’48, ai Padri costituenti. Approdiamo, così, agli albori degli anni ’90. In Basilicata si comincia a sentir odore (o puzza, a seconda delle particolari sensibilità olfattive) di PETROLIO! A mano a mano che si approfondisce la ricerca, l’odore, o la puzza, aumenta! Qui di petrolio se ne trova veramente tanto! Quantità inimmaginabili!
Idrocarburi, petrodollari, federalismo e giochi di prestigio parlamentari
COME LA METTIAMO ADESSO COL FEDERALISMO?
Possono solo 600 mila pidocchiosi cittadini lucani beneficiare, “federalisticamente” e da soli, di una ricchezza così grande? Ma vuoi vedere che questi smettono la coppola per il turbante? (Domanda retorica quest’ultima: un mio carissimo amico sindaco ebbe a dichiararmi, senza tentennamenti, che lui optava per il cappello texano!). Ecco, dunque, che, indossato il cappello pensatore e fatti due calcoli, nel 1996 (Decreto Legislativo 25 novembre 1996, n. 625) vien fuori la risposta:
a) Prima di tutto, alle royalties, bisogna dare una bella sforbiciata, diciamo di un bel 22%, dal 9% al 7%, altrimenti quelle poveracce di multinazionali che ci lavorano sopra rischiano di fallire…
b) Poi bisogna statuire che un terzo di quella immensa ricchezza deve appartenere alla Stato italiano (quale primo ed eroico esempio di sussidiarietà, mutualità e solidarietà nazionale), insieme ovviamente a gran parte degli introiti derivanti dalla tassazione degli utili d’impresa, dall’I.V.A. dalle accise, ecc.
c) il 15%, poi, si deve corrispondere ai comuni interessati (quali? quelli soli interessati dalle mere attività estrattive? Tutti quelli interessati dal generale processo produttivo (estrazione, trasporto, vettoriamento, stoccaggio, lavorazione e trasformazione)? La regione Basilicata ha deciso per i primi.
d) Il 55%, infine, alle Regioni interessate.
Come sarebbe a dire alle regioni interessate? Dico tra me e me, il petrolio non si trova in Basilicata? Le trivelle, i pozzi, l’attività estrattiva non insistono in territorio lucano? Si, ma, in primo luogo, la legge ha valenza generale e non viene fatta solo perché si è trovato un mare di petrolio in Basilicata (di questa mia tendenza a pensar male, mi vergogno un po’, giuro!), eppoi il petrolio lucano, passando per il territorio di diversi altri comuni, viene veicolato a Taranto, dove viene stoccato, lavorato e trasformato…, e quindi, il petrolio lucano, via via, acquista connotati, per una certa parte, anche pugliesi! Tarantini? No, pugliesi! Il principio, d’altronde, è semplice: che valore avrebbero gli idrocarburi lucani senza che mamma Puglia non li stoccasse e lavorasse? A Taranto piuttosto che a Bari, che differenza fa? Beata regione Puglia! Dev’essere bello riscuotere le royalties sul petrolio iracheno, libico, algerino, lavorato nelle raffinerie tarantine! Ma no, ma no! Mica i mediorientali e i nordafricani sono cafoni come i basilischi?! Eppoi, mia madre mi ha sempre insegnato che “le bocche son sorelle”! Sono o no la Basilicata e la Puglia regioni sorelle, ancorché federate? Certo che si! E vabbè che un’utile tratta ferroviaria (Metaponto – Matera – Foggia), in predicato già dai tempi miserandi del fascismo, non s’è mai realizzata per l’ostracismo professato dai parlamentari pugliesi, ma vogliamo serbar rancore? Che siamo bambini? Anzi, son così sorelle che le percentuali stabilite per gli idrocarburi estratti in terraferma non dovettero apparire equilibrate agli occhi del legislatore del ’96; occorreva pertanto fare qualcosa di ulteriore… stabilire qualche correttivo, inventarsi qualche gioco di prestigio…
AH...SE CI FOSSE UN MANDRAKE IN PARLAMENTO!
Serve un Mandrake, non tanto nei connotati fisici: capello brizzolato, viso affilato, occhi vivaci, intelligenti, penetranti, baffetto sottile, alla francese…, ma, piuttosto, nella capacità di inventiva, nei colpi di genio e, soprattutto, … nei giochi di prestigio! Il prestigiatore, per miracolo, si dev’essere materializzato; ne è prova il secondo comma dell’art. 22 del citato decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, che così recita: “Nel caso di giacimenti antistanti la costa di due regioni, la quota di spettanza regionale è ripartita nella misura del 50% alla regione ove ha sede l’eventuale centrale di trattamento, e per la restante parte in modo proporzionale al numero di piattaforme fisse e strutture fisse assimilabili installate nel mare ad esse adiacente e in base alla situazione esistente al 31 dicembre dell’anno cui si riferiscono le aliquote.”; sarebbe a dire che, ove interpretato nonchè applicato alla luce della ratio normativa introdotta dalla legge stessa (vedi art. vedi art. 20, secondo comma), se la regione Basilicata (si noti: regione Basilicata e non regione Puglia) desse il proprio assenso all’impianto di piattaforme estrattive al largo della propria costa jonica (Metaponto-Bernalda, Pisticci, Scanzano Jonico, Policoro, ecc.), dove si sa con certezza dell’insistenza di golosi giacimenti, una quota NON INFERIORE al 50% (diconsi CINQUANTAPERCENTO!!!) della quota regionale (a sua volta pari al 55% della quota totale) delle relative royalties sarebbero destinate alla Regione Puglia, salvo che non si ritenga di ricorrere al parere della Commissione di cui al comma 3° dello stesso art. 22 D.Lgs. 625/’96! Alla regione Basilicata andrebbe una quota da determinarsi, lo Stato beneficerebbe del 45% delle quote di prodotto totali pagate. Ecco, dunque, elevata, ope legis, la Puglia a regione petrolifera! Ecco snidato il petrolio pugliese! Non è questa una vera “mandrakata”? un colpo di prestigio da maestri? D’altronde, quando il petrolio finirà, così come è finito il metano di Pisticci e Ferrandina, quegli spocchiosi dei Basilischi potranno sempre organizzare un mucchio di percorsi guidati tra i musei della “passata civiltà del petrolio”; a bonifiche del territorio effettuate, s’intende. Per intanto, fra tanta sbandierata o ventilata ricchezza, pare che la popolazione lucana sia in fase di decremento… Non avrà ragione il mio caro ed esagitato amico “Tonino”, elaboratore funambolico di apocalittiche teorie e pianificazioni paracriminali che vedrebbero volutamente svuotata la Basilicata dei propri residui abitanti, al fine di potervi insediare, senza resistenza alcuna, discariche di ogni tipo (nucleari, speciali, ecc,) e di poter disporre senza colpo ferire delle sue ricchezze? Non voglio crederci, ma comincio, viceversa, a credere nella negatività di un destino crudele… e, parafrasando un vecchio detto, un po’ cafone ma assai efficace, comincio seriamente a temere che “quando, in Basilicata, la merda acquisterà valore, gli ultimi lucani nasceranno senza culo”! (3. Continua)
di Nunzio Dibiase

venerdì 18 gennaio 2013

Breve storia del più ricco giacimento petrolifero d'Europa: Quegli enormi interessi che ipotecano il futuro ed anche il presente (2a puntata)


Nomi, date e autorizzazioni sull'oro nero lucano

(A.D. 2007)
Se n’è parlato molto, poi è arrivato persino il sequestro preventivo e probatorio del cantiere, ma qualcosa ancora necessita di approfondimenti. Si tratta della concessione della licenza di ricerca di idrocarburi deliberata dalla Giunta regionale della Basilicata a favore della Intergas Più s.r.l. La domanda più immediata è del perché la giunta al completo ed all’unanimità abbia concesso la citata autorizzazione. O, per essere precisi, quali approfondimenti sulla Intergas Più siano stati effettuati prima di consentirgli di perforare e indagare sul sottosuolo lucano. Non è cosa banale, la scoperta di un eventuale giacimento comporta la conoscenza precisa di informazioni “sensibili” di estrema delicatezza e, venalmente, di grande valore. È pur vero che già nel passato, per i giacimenti scoperti e messi in produzione, le mille domande (monotone) sulla consistenza delle risorse disponibili nel ricco sottosuolo lucano e (persino) sulle quantità di petrolio estratto e destinato via tubo alla raffineria di Taranto sono rimaste senza risposta.

Il “Project jack up information memorandum” in cui sarebbero contenuti i patti e gli accordi con Gas della Concordia S.p.A. E l’affare s’ingrossa!

Ma qualche volta bisognerà pur cambiare registro, non vi pare? Intanto scopriamo che la “Intergas Più srl” è posseduta da una compagnia inglese dal nome significativo “Mediterranean oil & gas plc” che ne ha acquistato l’intero capitale sociale di 10.000 euro (alla data dell’atto: 4.5.2005). Prezzo d’acquisto 10.000 euro. Almeno così si legge nell’atto del Dr. Arrigo Roveda notaio in Milano. La quote cedute sono “interamente libere, esenti da oneri, vincoli, gravami pregiudizievol, pegni, sequestri, pignoramenti, diritti reali di godimento, diritti di terzi in genere...”. Sì, ma quanto valgono? Pochi giorni prima della vendita, la società che deteneva il 100% del capitale Intergas Più, gli aveva ceduto un intero “ramo d’azienda”. Il 26 aprile 2005, presso il notaio Dr. Giorgio Perrotta in Roma, “Gas della Concordia S.p.A.” cedeva a Intergas Più srl, sua controllata, il ramo d’azienda costituito da 5 “permessi di ricerca” e 17 “concessioni di coltivazione” sparsi qui e là in Italia (mari e Basilicata compresi). Sembra di capire, dagli atti sino ad ora esaminati, che i diritti di sfruttamento di 17 giacimenti petroliferi e di ricerca in altri 5 siti ricchi di idrocarburi siano passati di mano per 10 mila euro. Ma la cosa è più complessa. Si capisce leggendo il testo in inglese, allegato all’atto notarile firmato dal notar Roveda, che autorizza Mr. Anthony Trevisan ad acquistare la Intergas Più. Si parla di un “meeting del 7 gennaio 2005” in cui si sarebbe deciso di acquistare una partecipazione in una nuova società che avrebbe ricevuto degli “assets” da Gas della Concordia S.p.A. In pratica le citate licenze di ricerca e di coltivazione (che in soldoni significa estrazione di petrolio a 100 dollari il barile, ndr). Poi, si legge, dell’esistenza di un “Project jack up information memorandum” in cui sarebbero contenuti i patti e gli accordi con Gas della Concordia S.p.A. E l’affare s’ingrossa. Eh sì, perché spunta fuori un intero capitolo dedicato agli aspetti finanziari. Per garantire i fondi necessari per l’acquisizione si mettono in piedi complessi strumenti finanziari. Si parla delle azioni e di “convertible notes” (una specie di bond ad uso interno, ndr) che verrebbero sottoscritte da “Mizuho International plc” e “Stark Investment ltd” secondo i termini sottoscritti in apposito “term sheet” il 10 gennaio 2005. Poi si menziona la disponibilità di terze parti ad entrare nell’affare attraverso l’emissione di “bond convertibili” e spuntano la Med Oil ltd e la Transcontinental Investment Pty ltd che palesano la possibilità di estendere l’affare con l’ingresso nel mercato della Libia. Già, sembrava un permesso di ricerca in Basilicata e diventa un crocevia di interessi e società internazionali. Tutto del valore di 10 mila euro? Poco probabile. Resta da accennare alla proprietà della Gas della Concordia S.p.A., già British Gas RIMI S.p.A. Oggi la società risulta cessata per incorporazione. L’incorporante si chiama Coopgas srl da non confondere con la Coop Gas srl (scritto con uno spazio fra coop e gas, ndr) che è una sua controllata e oggi incorporata. Ammettetelo, vi gira la testa, ma siamo all’arrivo. Chi controlla la Coopgas srl, già Gas della Concordia S.p.A., già British Gas RIMI S.p.A.? Una cooperativa, una semplice cooperativa che beneficia delle agevolazioni fiscali riservate alle cooperative. Si chiama CPL Concordia Soc. Coop. e fra la innumerevoli società da essa controllate o partecipate per un giro di capitali di miliardi di euro, spunta la rete delle cooperative, delle immobiliari, delle associazioni artigiane, delle banche. Un solo nome per riassumere il giro d’affari, legittimo per carità, UNIPOL. Interessi di miliardi (di euro) in cui alla Basilicata non resta che qualche briciola e, forse, nemmeno all’Italia resta granché. Ma questo non possiamo dirlo, certamente la giunta regionale che ha autorizzato la Intergas Più srl ad effettuare le ricerche di nuovi pozzi avrà fatto le verifiche del caso e, magari, potrà spiegare quali vantaggi porta alla Basilicata l’intenso sfruttamento delle risorse minerarie. Diecimila euro di capitale (oggi elevato a 6 milioni) sono un discreto gruzzolo per cedere agli inglesi 17 “permessi di coltivazione”.

Un solo nome per riassumere il giro d’affari, legittimo per carità: UNIPOL.
Interessi di miliardi (di euro) in cui alla Basilicata non resta che qualche briciola

Sarebbe utile sapere cosa c’è scritto nel “Project jack up information memorandum” e magari nei memorandum riservati (se ce ne fossero) con la Total, l’Eni, e le altre compagnie petrolifere che facilmente ottengono permessi, autorizzazioni ed accoglienza nella nostra ospitale Basilicata. Vero presidente De Filippo?

(2. Continua)

Michelangelo Calderoni

lunedì 14 gennaio 2013

Breve storia del più ricco giacimento petrolifero d'Europa (1a puntata)


Nomi, date e autorizzazioni sull'oro nero lucano:
quegli enormi interessi che ipotecano il futuro...
ed anche il presente

(A.D. 2005) Sono due le società che hanno fatto richiesta alla Direzione Generale per l’Energia e le Risorse Minerarie (UNMIG-F3-Roma) per avere un permesso di ricerca di petrolio e gas nel territorio della provincia di Matera e in quello della provincia di Potenza. Il permesso di ricerca che riguarda l’area materana è stato inoltrato dalle società Rigo Oil Company Ltd e Nettis Impianti spa di Acquaviva delle Fonti (Bari); quello che ha per oggetto l’area potentina è stato presentanto dalla società Gas della Concordia spa. Quindi la Direzione generale per l’Energia il 15 maggio 2003 ha inviato alla regione Basilicata una nota con cui si chiede di esprimere “…formale intesa in ordine alle due istanze denominate Montalbano e Serra San Bernardo”. La Giunta regionale lucana all’unanimità (Filippo Bubbico, Erminio Restaino, Giovanni Carelli, Carlo Chiurazzi, Cataldo Collazzo, Gaetano Fierro, Donato Salvatore) il giorno 22 febbraio 2005 delibera di “esprimere, subordinatamente al rispetto delle prescrizioni e delle condizioni indicate dal Dipartimento dell’Ambiente, l’intesa della regione Basilicata per il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi denominato Montalbano, in provincia di Matera, e Serra San Bernardo in provincia di Potenza; di far obbligo di sottoporre a successiva intesa i progetti esecutivi degli interventi previsti nel programma dei lavori”. La Giunta esprime il suo parere favorevole tenendo conto di una determina dirigenziale dell’Ufficio compatibilità Ambientale che stabilisce di “… escludere dalla procedura VIA (Valutazione Impatto ambientale) le istanze di permesso prodotte sia dalla società Rigo Oil Company sia dalla Gas della Concordia spa con prescrizione di: 1) sottoporre alla fase di screening tutte le attività di ricerca previste nel programma lavori, diverse dal pozzo esplorativo; 2) sottoporre a Valutazione il pozzo esplorativo; 3) stabilire in due anni il giudizio positivo di esclusione della procedura VIA”. Inoltre il Gruppo di Lavoro istituito per il controllo dei permessi di ricerca di idrocarburi ha ritenuto “che si possa rilasciare l’intesa per il rilascio dei permessi di ricerca Montalbano e Serra San Bernardo, previa acquisizione del parere dell’ufficio Energia di conformità della richiesta al Piano Energetico regionale”. E l’Ufficio Energia il 28 settembre 2004 comunica che “sotto il profilo di politica energetica regionale il conferimento del permesso di ricerca in questione è compatibile con il Piano energetico regionale”. Il permesso di ricerca denominato Montalbano ha per oggetto il territorio dei Comuni di Montalbano Jonico, Pisticci, Stigliano, Tursi; il permesso di ricerca chiamato Serra San Bernardo riguarda i Comuni di Acerenza, Brindisi di Montagna, Cancellara, Forenza, Oppido Lucano, Potenza, Tolve, Vaglio di Basilicata, Pietragalla. A questo punto è utile capire - in modo sommario - il contesto in cui s’innestano i due permessi di ricerca d’idrocarburi sopraccennati. Oggi, aprile 2005. il 90 per cento del territorio lucano è interessato da perforazioni di pozzi, da permessi di ricerca, di coltivazione e da istanze di permessi di ricerca. Di conseguenza è possibile definire la Lucania come la regione dell’Unione europea con un notevole potenziale petrolifero. Il giacimento comprende le concessioni di tre titoli minerari: la Volturino conferita per il 45% all’Eni e per il 55% alla Enterprise Oil; la Caldarosa conferita solo all’Eni; la Grumento Nova conferita per il 71% all’Eni e per il 29% all’Enterprise Oil. La produzione annuale estratta da 42 pozzi e 26 postazioni - non ancora tutti produttivi - collegati dalle “pipeline” (tubazioni) al centro oli di Viggiano (Pz) raggiungerebbe un picco di 104000 b/g (barili al giorno) nel 2003 per poi decrescere fino al 2024 ai 20000b/g. Grazie a tale risorsa, con un incremento del 108% si raddoppierebbe la produzione nazionale e s’incrementerebbe del 20% quella europea. Il petrolio subisce un primo processo di raffinazione al Centro Oli di Viggiano denominato MonteAlpi, ampliato in tre tempi con una superficie di 6 ettari e una capacità di raffinazione di 104000 b/ g. Altro importante giacimento, ancora in fase di strutturazione è quello di Tempa Rossa che comprende la concessione Gorgoglione conferita alla società Total Fina Elf per il 50% e alla Mobil per il 25%. La produzione annuale, estratta da 7 pozzi collegati dalle “pipeline” al Centro di Viggiano, dovrebbe raggiungere la punta massima di 47000 b/g nel 2005 per poi decrescere fino al 2042. Il contributo dell’estrazione di Tempa Rossa sommato a quello della Val d’Agri dovrebbe determinare un incremento del 160% annuo della produzione nazionale, coprendo il 7% del fabbisogno dei consumi italiani. Il petrolio dovrà essere raffinato da un centro Oli, non ancora realizzato, nel Comune di Corleto Perticara, con una capacità di 50.000 b/g. Il petrolio raffinato a Viggiano viene trasportato a Taranto - per essere ulteriormente raffinato e quindi arrivare sul mercato petrolifero nazionale e internazionale - tramite un oleodotto di 51 cm di diametro, della portata di 150000 b/g, lungo 136 chilometri di linee interrate. Il tracciato Viggiano –Taranto si snoda così: Grumento Nova, Montemurro, Armento, Guardia Perticara, Corleto Perticara, Missanello, Aliano, Stigliano, Craco, Montalbano Jonico, Pisticci, Bernalda, per il tratto lucano; e poi Ginosa, Castellaneta, Palagiano e Massafra per le tubazioni in Puglia. (1. Continua)

firma: Michelangelo Calderoni