domenica 17 febbraio 2013

Breve storia del più ricco giacimento petrolifero d'Europa (3a puntata): Quegli enormi interessi che ipotecano il futuro ed anche il presente


(A.D. 2008) C’era una volta l’Italia del dopoguerra, dai sentimenti puliti. Povera ma bella: di De Gasperi e di Mattei, di Peppone e di Don Camillo. Quell’Italia, si mise in testa, sognava, di poter fare cose impensabili in campo imprenditoriale ed industriale; due su tutte: la creazione di un polo siderurgico a Taranto e la concorrenza, nel settore dell’industria degli idrocarburi, ad americani, inglesi e francesi. È accertato, ormai, che Mattei, in particolare per le sue note e strane idee sulle royalties e per la sua idea di strizzare l’occhio al movimento indipendentista algerino, per quel sogno ci rimise l’osso del collo. Ad ogni modo, per quell’Italia dalla voglia di fare e di crescere, le “quote di prodotto” ovvero le royalties valevano, sul territorio nazionale, dal 2,5% fino al 22%, in rapporto alle quantità giornaliere estratte, in virtù suppongo di due obiettivi: incentivare la ricerca nel territorio italiano, ritenuto carente di grossi giacimenti, e rispettare il criterio della progressività sancito dalla Costituzione. Ad un certo punto, si trovò un sacco di metano in valbasento, in Basilicata, ma anche, se non ricordo male, dalle parti di Gela in Sicilia, ed alla fine, passò l’idea di utilizzare quelle risorse per far decollare dei poli industriali in loco. Idea, questa, contrapposta, per quanto riguarda la Basilicata, a quella di convogliare il metano “in Puglia”, a “Taranto”, città per la quale si prospettava uno sviluppo industriale grandioso, a scapito della sua valorizzazione quale polo turistico quasi senza eguali nel Mediterraneo. Trovato il metano e compiuta la scelta “localistica” del suo impiego, probabilmente si pose il problema del finanziamento e degli investimenti industriali; forse fu per questo che si stimò di fare un grosso regalo, con l’unificazione, al ribasso, delle tariffe, all’E.N.I. di Mattei, peraltro, come si sa, assai attento alle necessità della politica e dei partiti: nel 1967, il Parlamento italiano sancì che il valore delle royalties dovesse essere del 9% per gli idrocarburi estratti in terraferma e, per quelli estratti in mare, dell’8% e del 4% (rispettivamente, per gli idrocarburi liquidi e per quelli gassosi). Il peccatuccio, in verità, non appare assai grave: in fondo, il percettore unico delle quote di prodotto, all’epoca, era lo Stato, mentre l’E.N.I. non era altro che un suo attivo braccio operativo, assai rappresentativo anche in politica estera. Poi, i pozzi di valbasento si esaurirono e, con essi, si esaurì anche, in gran parte, il sogno industriale lucano, incentrato com’era sulla “chimica”. Nel frattempo, negli anni ’70 (1972 e 1977), si ebbe in Italia un grande cambiamento nell’organizzazione istituzionale: nacquero le Regioni, a cui si pensò anche di assegnare potestà legislativa in talune materie; si moltiplicarono a dismisura i centri di potere politico-amministrativo, la relativa classe politico-amministrativa (i cui meccanismi di selezione, per ovvietà di cose, risultarono molto affievoliti) e, con essi, le centrali di spesa pubblica ed i corrispondenti apparati (fattori questi di gran peso, ancorché taciuti, della successiva decuplicazione del debito pubblico italiano nel corso degli anni ’80). Nel tempo, altresì, si è andata sempre più accentuando un’idea federalista dell’organizzazione istituzionale italiana, a scapito di quell’idea virtuosa di decentramento dei poteri che fu già cara, nel ’48, ai Padri costituenti. Approdiamo, così, agli albori degli anni ’90. In Basilicata si comincia a sentir odore (o puzza, a seconda delle particolari sensibilità olfattive) di PETROLIO! A mano a mano che si approfondisce la ricerca, l’odore, o la puzza, aumenta! Qui di petrolio se ne trova veramente tanto! Quantità inimmaginabili!
Idrocarburi, petrodollari, federalismo e giochi di prestigio parlamentari
COME LA METTIAMO ADESSO COL FEDERALISMO?
Possono solo 600 mila pidocchiosi cittadini lucani beneficiare, “federalisticamente” e da soli, di una ricchezza così grande? Ma vuoi vedere che questi smettono la coppola per il turbante? (Domanda retorica quest’ultima: un mio carissimo amico sindaco ebbe a dichiararmi, senza tentennamenti, che lui optava per il cappello texano!). Ecco, dunque, che, indossato il cappello pensatore e fatti due calcoli, nel 1996 (Decreto Legislativo 25 novembre 1996, n. 625) vien fuori la risposta:
a) Prima di tutto, alle royalties, bisogna dare una bella sforbiciata, diciamo di un bel 22%, dal 9% al 7%, altrimenti quelle poveracce di multinazionali che ci lavorano sopra rischiano di fallire…
b) Poi bisogna statuire che un terzo di quella immensa ricchezza deve appartenere alla Stato italiano (quale primo ed eroico esempio di sussidiarietà, mutualità e solidarietà nazionale), insieme ovviamente a gran parte degli introiti derivanti dalla tassazione degli utili d’impresa, dall’I.V.A. dalle accise, ecc.
c) il 15%, poi, si deve corrispondere ai comuni interessati (quali? quelli soli interessati dalle mere attività estrattive? Tutti quelli interessati dal generale processo produttivo (estrazione, trasporto, vettoriamento, stoccaggio, lavorazione e trasformazione)? La regione Basilicata ha deciso per i primi.
d) Il 55%, infine, alle Regioni interessate.
Come sarebbe a dire alle regioni interessate? Dico tra me e me, il petrolio non si trova in Basilicata? Le trivelle, i pozzi, l’attività estrattiva non insistono in territorio lucano? Si, ma, in primo luogo, la legge ha valenza generale e non viene fatta solo perché si è trovato un mare di petrolio in Basilicata (di questa mia tendenza a pensar male, mi vergogno un po’, giuro!), eppoi il petrolio lucano, passando per il territorio di diversi altri comuni, viene veicolato a Taranto, dove viene stoccato, lavorato e trasformato…, e quindi, il petrolio lucano, via via, acquista connotati, per una certa parte, anche pugliesi! Tarantini? No, pugliesi! Il principio, d’altronde, è semplice: che valore avrebbero gli idrocarburi lucani senza che mamma Puglia non li stoccasse e lavorasse? A Taranto piuttosto che a Bari, che differenza fa? Beata regione Puglia! Dev’essere bello riscuotere le royalties sul petrolio iracheno, libico, algerino, lavorato nelle raffinerie tarantine! Ma no, ma no! Mica i mediorientali e i nordafricani sono cafoni come i basilischi?! Eppoi, mia madre mi ha sempre insegnato che “le bocche son sorelle”! Sono o no la Basilicata e la Puglia regioni sorelle, ancorché federate? Certo che si! E vabbè che un’utile tratta ferroviaria (Metaponto – Matera – Foggia), in predicato già dai tempi miserandi del fascismo, non s’è mai realizzata per l’ostracismo professato dai parlamentari pugliesi, ma vogliamo serbar rancore? Che siamo bambini? Anzi, son così sorelle che le percentuali stabilite per gli idrocarburi estratti in terraferma non dovettero apparire equilibrate agli occhi del legislatore del ’96; occorreva pertanto fare qualcosa di ulteriore… stabilire qualche correttivo, inventarsi qualche gioco di prestigio…
AH...SE CI FOSSE UN MANDRAKE IN PARLAMENTO!
Serve un Mandrake, non tanto nei connotati fisici: capello brizzolato, viso affilato, occhi vivaci, intelligenti, penetranti, baffetto sottile, alla francese…, ma, piuttosto, nella capacità di inventiva, nei colpi di genio e, soprattutto, … nei giochi di prestigio! Il prestigiatore, per miracolo, si dev’essere materializzato; ne è prova il secondo comma dell’art. 22 del citato decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, che così recita: “Nel caso di giacimenti antistanti la costa di due regioni, la quota di spettanza regionale è ripartita nella misura del 50% alla regione ove ha sede l’eventuale centrale di trattamento, e per la restante parte in modo proporzionale al numero di piattaforme fisse e strutture fisse assimilabili installate nel mare ad esse adiacente e in base alla situazione esistente al 31 dicembre dell’anno cui si riferiscono le aliquote.”; sarebbe a dire che, ove interpretato nonchè applicato alla luce della ratio normativa introdotta dalla legge stessa (vedi art. vedi art. 20, secondo comma), se la regione Basilicata (si noti: regione Basilicata e non regione Puglia) desse il proprio assenso all’impianto di piattaforme estrattive al largo della propria costa jonica (Metaponto-Bernalda, Pisticci, Scanzano Jonico, Policoro, ecc.), dove si sa con certezza dell’insistenza di golosi giacimenti, una quota NON INFERIORE al 50% (diconsi CINQUANTAPERCENTO!!!) della quota regionale (a sua volta pari al 55% della quota totale) delle relative royalties sarebbero destinate alla Regione Puglia, salvo che non si ritenga di ricorrere al parere della Commissione di cui al comma 3° dello stesso art. 22 D.Lgs. 625/’96! Alla regione Basilicata andrebbe una quota da determinarsi, lo Stato beneficerebbe del 45% delle quote di prodotto totali pagate. Ecco, dunque, elevata, ope legis, la Puglia a regione petrolifera! Ecco snidato il petrolio pugliese! Non è questa una vera “mandrakata”? un colpo di prestigio da maestri? D’altronde, quando il petrolio finirà, così come è finito il metano di Pisticci e Ferrandina, quegli spocchiosi dei Basilischi potranno sempre organizzare un mucchio di percorsi guidati tra i musei della “passata civiltà del petrolio”; a bonifiche del territorio effettuate, s’intende. Per intanto, fra tanta sbandierata o ventilata ricchezza, pare che la popolazione lucana sia in fase di decremento… Non avrà ragione il mio caro ed esagitato amico “Tonino”, elaboratore funambolico di apocalittiche teorie e pianificazioni paracriminali che vedrebbero volutamente svuotata la Basilicata dei propri residui abitanti, al fine di potervi insediare, senza resistenza alcuna, discariche di ogni tipo (nucleari, speciali, ecc,) e di poter disporre senza colpo ferire delle sue ricchezze? Non voglio crederci, ma comincio, viceversa, a credere nella negatività di un destino crudele… e, parafrasando un vecchio detto, un po’ cafone ma assai efficace, comincio seriamente a temere che “quando, in Basilicata, la merda acquisterà valore, gli ultimi lucani nasceranno senza culo”! (3. Continua)
di Nunzio Dibiase

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