(A.D. 2008) C’era una volta l’Italia del
dopoguerra, dai sentimenti puliti. Povera ma bella: di De Gasperi e
di Mattei, di Peppone e di Don Camillo. Quell’Italia, si mise in
testa, sognava, di poter fare cose impensabili in campo
imprenditoriale ed industriale; due su tutte: la creazione di un polo
siderurgico a Taranto e la concorrenza, nel settore dell’industria
degli idrocarburi, ad americani, inglesi e francesi. È accertato,
ormai, che Mattei, in particolare per le sue note e strane idee sulle
royalties e per la sua idea di strizzare l’occhio al movimento
indipendentista algerino, per quel sogno ci rimise l’osso del
collo. Ad ogni modo, per quell’Italia dalla voglia di fare e di
crescere, le “quote di prodotto” ovvero le royalties valevano,
sul territorio nazionale, dal 2,5% fino al 22%, in rapporto alle
quantità giornaliere estratte, in virtù suppongo di due obiettivi:
incentivare la ricerca nel territorio italiano, ritenuto carente di
grossi giacimenti, e rispettare il criterio della progressività
sancito dalla Costituzione. Ad un certo punto, si trovò un sacco di
metano in valbasento, in Basilicata, ma anche, se non ricordo male,
dalle parti di Gela in Sicilia, ed alla fine, passò l’idea di
utilizzare quelle risorse per far decollare dei poli industriali in
loco. Idea, questa, contrapposta, per quanto riguarda la Basilicata,
a quella di convogliare il metano “in Puglia”, a “Taranto”,
città per la quale si prospettava uno sviluppo industriale
grandioso, a scapito della sua valorizzazione quale polo turistico
quasi senza eguali nel Mediterraneo. Trovato il metano e compiuta la
scelta “localistica” del suo impiego, probabilmente si pose il
problema del finanziamento e degli investimenti industriali; forse fu
per questo che si stimò di fare un grosso regalo, con
l’unificazione, al ribasso, delle tariffe, all’E.N.I. di Mattei,
peraltro, come si sa, assai attento alle necessità della politica e
dei partiti: nel 1967, il Parlamento italiano sancì che il valore
delle royalties dovesse essere del 9% per gli idrocarburi estratti in
terraferma e, per quelli estratti in mare, dell’8% e del 4%
(rispettivamente, per gli idrocarburi liquidi e per quelli gassosi).
Il peccatuccio, in verità, non appare assai grave: in fondo, il
percettore unico delle quote di prodotto, all’epoca, era lo Stato,
mentre l’E.N.I. non era altro che un suo attivo braccio operativo,
assai rappresentativo anche in politica estera. Poi, i pozzi di
valbasento si esaurirono e, con essi, si esaurì anche, in gran
parte, il sogno industriale lucano, incentrato com’era sulla
“chimica”. Nel frattempo, negli anni ’70 (1972 e 1977), si ebbe
in Italia un grande cambiamento nell’organizzazione istituzionale:
nacquero le Regioni, a cui si pensò anche di assegnare potestà
legislativa in talune materie; si moltiplicarono a dismisura i centri
di potere politico-amministrativo, la relativa classe
politico-amministrativa (i cui meccanismi di selezione, per ovvietà
di cose, risultarono molto affievoliti) e, con essi, le centrali di
spesa pubblica ed i corrispondenti apparati (fattori questi di gran
peso, ancorché taciuti, della successiva decuplicazione del debito
pubblico italiano nel corso degli anni ’80). Nel tempo, altresì,
si è andata sempre più accentuando un’idea federalista
dell’organizzazione istituzionale italiana, a scapito di quell’idea
virtuosa di decentramento dei poteri che fu già cara, nel ’48, ai
Padri costituenti. Approdiamo, così, agli albori degli anni ’90.
In Basilicata si comincia a sentir odore (o puzza, a seconda delle
particolari sensibilità olfattive) di PETROLIO! A mano a mano che si
approfondisce la ricerca, l’odore, o la puzza, aumenta! Qui di
petrolio se ne trova veramente tanto! Quantità inimmaginabili!
Idrocarburi, petrodollari, federalismo e giochi di
prestigio parlamentari
COME LA METTIAMO ADESSO COL
FEDERALISMO?
Possono solo 600 mila pidocchiosi
cittadini lucani beneficiare, “federalisticamente” e da soli, di
una ricchezza così grande? Ma vuoi vedere che questi smettono la
coppola per il turbante? (Domanda retorica quest’ultima: un mio
carissimo amico sindaco ebbe a dichiararmi, senza tentennamenti, che
lui optava per il cappello texano!). Ecco, dunque, che, indossato il
cappello pensatore e fatti due calcoli, nel 1996 (Decreto Legislativo
25 novembre 1996, n. 625) vien fuori la risposta:
a) Prima di tutto, alle royalties,
bisogna dare una bella sforbiciata, diciamo di un bel 22%, dal 9% al
7%, altrimenti quelle poveracce di multinazionali che ci lavorano
sopra rischiano di fallire…
b) Poi bisogna statuire che un terzo di
quella immensa ricchezza deve appartenere alla Stato italiano (quale
primo ed eroico esempio di sussidiarietà, mutualità e solidarietà
nazionale), insieme ovviamente a gran parte degli introiti derivanti
dalla tassazione degli utili d’impresa, dall’I.V.A. dalle accise,
ecc.
c) il 15%, poi, si deve corrispondere
ai comuni interessati (quali? quelli soli interessati dalle mere
attività estrattive? Tutti quelli interessati dal generale processo
produttivo (estrazione, trasporto, vettoriamento, stoccaggio,
lavorazione e trasformazione)? La regione Basilicata ha deciso per i
primi.
d) Il 55%, infine, alle Regioni
interessate.
Come sarebbe a dire alle regioni
interessate? Dico tra me e me, il petrolio non si trova in
Basilicata? Le trivelle, i pozzi, l’attività estrattiva non
insistono in territorio lucano? Si, ma, in primo luogo, la legge ha
valenza generale e non viene fatta solo perché si è trovato un mare
di petrolio in Basilicata (di questa mia tendenza a pensar male, mi
vergogno un po’, giuro!), eppoi il petrolio lucano, passando per il
territorio di diversi altri comuni, viene veicolato a Taranto, dove
viene stoccato, lavorato e trasformato…, e quindi, il petrolio
lucano, via via, acquista connotati, per una certa parte, anche
pugliesi! Tarantini? No, pugliesi! Il principio, d’altronde, è
semplice: che valore avrebbero gli idrocarburi lucani senza che mamma
Puglia non li stoccasse e lavorasse? A Taranto piuttosto che a Bari,
che differenza fa? Beata regione Puglia! Dev’essere bello
riscuotere le royalties sul petrolio iracheno, libico, algerino,
lavorato nelle raffinerie tarantine! Ma no, ma no! Mica i
mediorientali e i nordafricani sono cafoni come i basilischi?! Eppoi,
mia madre mi ha sempre insegnato che “le bocche son sorelle”!
Sono o no la Basilicata e la Puglia regioni sorelle, ancorché
federate? Certo che si! E vabbè che un’utile tratta ferroviaria
(Metaponto – Matera – Foggia), in predicato già dai tempi
miserandi del fascismo, non s’è mai realizzata per l’ostracismo
professato dai parlamentari pugliesi, ma vogliamo serbar rancore? Che
siamo bambini? Anzi, son così sorelle che le percentuali stabilite
per gli idrocarburi estratti in terraferma non dovettero apparire
equilibrate agli occhi del legislatore del ’96; occorreva pertanto
fare qualcosa di ulteriore… stabilire qualche correttivo,
inventarsi qualche gioco di prestigio…
AH...SE CI FOSSE UN MANDRAKE IN PARLAMENTO!
Serve un Mandrake, non tanto nei
connotati fisici: capello brizzolato, viso affilato, occhi vivaci,
intelligenti, penetranti, baffetto sottile, alla francese…, ma,
piuttosto, nella capacità di inventiva, nei colpi di genio e,
soprattutto, … nei giochi di prestigio! Il prestigiatore, per
miracolo, si dev’essere materializzato; ne è prova il secondo
comma dell’art. 22 del citato decreto legislativo 25 novembre 1996,
n. 625, che così recita: “Nel caso di giacimenti antistanti la
costa di due regioni, la quota di spettanza regionale è ripartita
nella misura del 50% alla regione ove ha sede l’eventuale centrale
di trattamento, e per la restante parte in modo proporzionale al
numero di piattaforme fisse e strutture fisse assimilabili installate
nel mare ad esse adiacente e in base alla situazione esistente al 31
dicembre dell’anno cui si riferiscono le aliquote.”; sarebbe a
dire che, ove interpretato nonchè applicato alla luce della ratio
normativa introdotta dalla legge stessa (vedi art. vedi art. 20,
secondo comma), se la regione Basilicata (si noti: regione Basilicata
e non regione Puglia) desse il proprio assenso all’impianto di
piattaforme estrattive al largo della propria costa jonica
(Metaponto-Bernalda, Pisticci, Scanzano Jonico, Policoro, ecc.), dove
si sa con certezza dell’insistenza di golosi giacimenti, una quota
NON INFERIORE al 50% (diconsi CINQUANTAPERCENTO!!!) della quota
regionale (a sua volta pari al 55% della quota totale) delle relative
royalties sarebbero destinate alla Regione Puglia, salvo che non si
ritenga di ricorrere al parere della Commissione di cui al comma 3°
dello stesso art. 22 D.Lgs. 625/’96! Alla regione Basilicata
andrebbe una quota da determinarsi, lo Stato beneficerebbe del 45%
delle quote di prodotto totali pagate. Ecco, dunque, elevata, ope
legis, la Puglia a regione petrolifera! Ecco snidato il petrolio
pugliese! Non è questa una vera “mandrakata”? un colpo di
prestigio da maestri? D’altronde, quando il petrolio finirà, così
come è finito il metano di Pisticci e Ferrandina, quegli spocchiosi
dei Basilischi potranno sempre organizzare un mucchio di percorsi
guidati tra i musei della “passata civiltà del petrolio”; a
bonifiche del territorio effettuate, s’intende. Per intanto, fra
tanta sbandierata o ventilata ricchezza, pare che la popolazione
lucana sia in fase di decremento… Non avrà ragione il mio caro ed
esagitato amico “Tonino”, elaboratore funambolico di
apocalittiche teorie e pianificazioni paracriminali che vedrebbero
volutamente svuotata la Basilicata dei propri residui abitanti, al
fine di potervi insediare, senza resistenza alcuna, discariche di
ogni tipo (nucleari, speciali, ecc,) e di poter disporre senza colpo
ferire delle sue ricchezze? Non voglio crederci, ma comincio,
viceversa, a credere nella negatività di un destino crudele… e,
parafrasando un vecchio detto, un po’ cafone ma assai efficace,
comincio seriamente a temere che “quando, in Basilicata, la merda
acquisterà valore, gli ultimi lucani nasceranno senza culo”! (3.
Continua)
di
Nunzio Dibiase
Nessun commento:
Posta un commento