giovedì 3 novembre 2011

La Fenice lucana risorgerà dalle proprie ceneri?



L’indecorosa teoria dei “non sapevo” ovvero “nessuno mi aveva informato”, fornisce un quadro desolante dell’intera classe politica regionale e non già perché questi signori “non potevano non sapere”, bensì perché è provato che sapevano eccome. Altrettanto deve dirsi per quei politici che sarebbero dovuti stare all’opposizione, avrebbero dovuto incalzare i “sinistri” governi della Basilicata e chiamarli alla responsabilità ed al rispetto dei cittadini amministrati. Invece nulla e così la regione è stata riempita di veleni con le conseguenze d’incidenza tumorale che conosciamo anche se nessuno si prende la briga di divulgarle: fa parte del “non sapevo”. Così occorre documentare quello che si sapeva tanto da essere pubblicato su alcuni “giornalacci” di provincia. Comincia un viaggio dei veleni che hanno inquinato i fiumi, la terra e l’aria della Lucania. Nei veleni noti a tutti, Procure della Repubblica comprese, tranne che agli assessori preposti all’ambiente (ve ne sono di regionali, provinciali e comunali), tranne che alle agenzie costituite per monitorarli, tranne che agli esperti pagati per ricercarli e quantificarli. Quei veleni che, come i pericolosissimi prodotti della combustione degli stream gas disciolti nel petrolio lucano, appestano a tonnellate ogni giorno che il buon Dio concede alle nostre contrade. La Fenice è un mitico uccello che aveva la capacità di risorgere dalle proprie ceneri. È davvero singolare che l’inceneritore che ha avvelenato ampie zone del melfese sotto gli occhi complici e omertosi di tanti si chiami “Fenice”. Forse che si possa (finalmente) sperare nella rinascita di una grande Lucania dalle ceneri della Basilicata, offesa e violentata da politici senza scrupoli?
di Antonio Mangone

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